Intervista a Justin Mauriello di Zebrahead, I Hate Kate

Anni duemila. La scena punk rock è nuovamente agli apici. Justin Mauriello è il frontman degli Zebrahead, con i quali conquista i palchi di mezzo mondo alle spalle di band come Green Day e Blink-182, e le vette delle classifiche in Stati Uniti e Giappone, dove la band strappa il disco d’oro. Nel 2005 Justin intraprende una nuova carriera, da solista e con i progetti I Hate Kate e Darling Thieves.

Lo abbiamo raggiunto virtualmente per parlare di musica e di contaminazioni.

Ciao Justin, innanzitutto grazie per la disponibilità. Avrei tante domande da farti ma mi sembra doveroso partire da una. Sappiamo che il Covid-19 ha stravolto le nostre vite. Gli USA sono purtroppo stati a lungo la Nazione più colpita da questa emergenza straordinaria. Da compositore e leader di una band, i Darling Thieves, come ha impattato l’emergenza sul tuo lavoro?

Assolutamente, grazie per avermi ospitato! Questa è un gran bella domanda. La pandemia mi ha costretto a diventare un  po’ più  creativo nel lavoro. Ad esempio, quando produco altri artisti faccio tutto quello che posso da remoto; quando abbiamo avuto bisogno di una traccia in studio, ci sono state volte in cui ho progettato in una stanza completamente separata, anche all’aperto, mentre la band suonava all’interno. È stato piuttosto divertente. Per quanto riguarda la mia musica, questo periodo mi ha concesso molto tempo per scrivere e registrare le canzoni con cui stavo “armeggiando” da un po’ di tempo.

L’Olifante è uno spazio editoriale che presta molta attenzione non solo ai musicisti ma anche agli esperti del settore. So che in passato hai collaborato con produttori del calibro di Howard Benson (My Chemical Romance e Three Days Grace nel suo portfolio, tanto per citare qualcuno). Nel tempo con il progetto I Hate Kate (poi divenuto Darling Thieves) ti sei spostato verso l’autoproduzione. Quanto ha inciso la tua esperienza e quanto i progressi di natura tecnologica nel campo dell’autoproduzione?

Adoro lavorare con diversi produttori. Ho imparato così tanto da ognuno di quelli con cui ho collaborato nel corso degli anni. Ne abbiamo trovati alcuni fantastici sulla nostra strada anche quando ho formato gli I Hate Kate: Mark Trombino, Linus of Hollywood (Kevin Dotson), i miei amici Lee Miles e Justin Gariano, per nominarne alcuni. Onestamente, ho iniziato a produrre la nostra musica da solo per diverse ragioni. Per prima cosa, quando ho un’idea di come dovrebbe suonare una canzone, posso dedicare più tempo a portarla nella direzione che sento. Quando lavori con un produttore, sei sotto tiro e potresti non avere quel lusso. La seconda è il budget: se hai un’etichetta dietro di te con un grande giro di soldi, fantastico. Usala! Se stai pagando di tasca tua… registrare, mixare e masterizzare un intero  LP o un EP ti costerà, e non posso inviare foto fetish dei piedi all’infinito, sai? (Ride, Ndr)

Il terzo motivo è che adoro farlo. È un’altra parte del processo creativo di cui mi sono innamorato. Mi alzo ogni mattina e non vedo l’ora di iniziare a creare.

In questo numero, vogliamo approfondire il discorso sulle contaminazioni. La musica è da sempre sensibile alle influenze di altre arti e altri aspetti della società. In tal senso vorrei focalizzarmi sulla tua storia. Partito da La Habra (OC, California) alla fine dei Novanta, sei stato cantante e fondatore degli Zebrahead, in una terra storicamente fertile per musicisti, specie in quel decennio così fortunato. Quanto hanno inciso, secondo te, i mezzi audiovisivi (su tutti la TV), nel diffondere la cultura skate della vita di strada, del sole, delle grandi spiagge, e quindi nel far esplodere in maniera definitiva quella scena Punk Rock?

Quando stavamo iniziando con gli Zebrahead, la scena musicale di Orange County era a dir poco pazzesca. C’erano così tante grandi band con cui suonavamo, e così tante di loro hanno avuto carriere da non credere.

La musica è andata di pari passo con il surf e con lo skate. Ricordo che, quando avevo 16 anni, un paio di amici con cui facevo surf mi presentarono Pennywise, Bad Religion, 7 Seconds, ecc. Era solo una parte della cultura. Man mano che il Punk ha guadagnato in popolarità, iniziavi a sentirne sempre di più alla radio e alla TV, ma era sempre stato un fenomeno abbastanza underground prima di arrivare a quel punto.

Il Rock sembra vivere un momento di profonda crisi. Diversi tuoi colleghi, anche di fama globale, hanno preferito voltare le spalle alle chitarre e stravolgere la propria identità artistica. Tu sei rimasto fedele a noi rocker nostalgici. A cosa dovrebbe attingere il rock per tornare mainstream presso le nuove generazioni? Può servire la contaminazione con altri universi?

Tutto è ciclico. Presto le chitarre saranno di nuovo mainstream e torneranno a essere la cosa più bella al mondo. Succede ogni volta che il grande pubblico è pronto per questo. In effetti, come suggerisci tu, mi è sempre piaciuto sperimentare con generi e suoni diversi. Alcuni più guidati dalla chitarra di altri, ma la chitarra è stato il mio primo strumento quando ho iniziato a suonare a 11 anni. È con quella che scrivo la mia musica.

Domanda d’obbligo sul futuro. Nel 2020 hai pubblicato due singoli che si sono fatti apprezzare tantissimo. I Darling Thieves nel 2021 pubblicheranno qualcosa? E se sì, lo faranno solo per le piattaforme streaming o possiamo aspettarci qualcosa su supporto fisico?

Grazie mille! Sicuramente pubblicherò nuova musica nel 2021. È un dato di fatto. Con gli I Hate Kate faremo una nuova canzone che è pronta per la release il prima possibile (si riferisce a A Place For Me, pubblicata a febbraio 2021, Ndr). Ti confermo anche che, partire da ora, sarà tutto in streaming.

Sei di origine italiana, sei mai stato da queste parti? E se no, quando vieni a trovarci, magari in tour?

Sono un vero italiano! Amico, non vengo in Italia da così tanto tempo. Mi manca davvero. Ricordo di essere andato in Costiera Amalfitana per la mia luna di miele. Quando ho provato il limoncello per la prima volta laggiù, ho creduto di aver scoperto il più grande segreto di tutti i tempi. Ricordo di aver fatto scorta di bottiglie e di averle messe in valigia. Mi sentivo come un drug mule che contrabbandava questo tesoro negli Stati Uniti. Il giorno successivo in America sono andato da Albertsons (una catena di negozi di alimentari, Ndr) e ho trovato lo stesso limoncello nella corsia dei liquori. Fu troppo divertente! Comunque sia, fino ad oggi, quello è stato uno dei posti più belli che abbia mai visto, e non vedo l’ora di rivedere presto l’Italia.️

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