La crisi degli LP: declino o evoluzione?

Gli Album sono in crisi. 

Questa è una delle frasi più in voga dagli inizi del nuovo millennio e in molti si sono cimentati nel tentare di offrire una spiegazione a questa tendenza.

Dare la colpa unicamente a Spotify, colosso svedese che dal 2006 fa da padrone nel business dello streaming, e ai suoi concorrenti risulta riduttivo e superficiale. Semmai, altro non è che l’apice di una tendenza evolutiva più grande, che copre soprattutto aspetti psicologici.

L’avvento di Internet, con le sue infinite potenzialità, ha generato ed alimentato il fenomeno della pirateria: la scossa più profonda mai registrata all’interno dell’industria dell’entertainment. La creazione dell’mp3, e la sua diffusione tramite piattaforme di file-sharing e download illegali garantite dalla diffusione dell’Internet a banda larga, ha consegnato nelle mani della generazione dei Millennial il potere di minare profondamente le fondamenta dell’industria musicale, colta sostanzialmente alla sprovvista.

Emblematica è l’epopea di Dell Glover, un semplice dipendente di una fabbrica di cd in North Carolina passato alla storia come il più grande pirata della storia musicale, che iniziò a mettere online tutti i cd che gli passavano sottomano. Le sue azioni, come quelle di molti altri, non nascevano solo per finalità economiche. Di fatto, Internet aveva creato e dato il potere ad una comunità di appassionati del settore di sottrarre l’arte musicale dalle sorti e le “imposizioni” del mercato. Così come in molti altri ambiti, le comunità sociali che si formano sulla rete innescano dei meccanismi di disimpegno morale che, sommati al sostegno reciproco del gruppo creano il cosiddetto “effetto di diffusione di responsabilità”: in presenza di più persone, lo “spettatore” è meno propenso ad agire e quindi, come nel caso della pirateria, si sentirà meno responsabile per il crimine commesso.

L’industria musicale, nel tentare di spiegare le ragioni della crisi si è sempre rifugiata nella pirateria, ma il fenomeno del tracollo delle vendite degli album vede anche altri attori protagonisti.

Dall’avvento di iTunes e dell’iPod all’inizio del nuovo millennio, le vendite degli album si sono più che dimezzate a discapito di quelle dei singoli, più che decuplicate, che continuano a registrare una costante crescita. La politica di iTunes che permette di acquistare i singoli a prescindere dal proprio album di appartenenza, è stata senz’altro vincente e risponde ad una crescente esigenza del mercato: la libertà.

Ad essere protagonisti sono di nuovo i Millennial, da sempre abituati a poter scegliere liberamente quasi qualunque cosa, specie come intrattenerci. Infatti, la possibilità di poter scegliere singole canzoni senza dover per forza prendere un intero album (diciamocelo, alle volte colmo di canzoni riempitive proprio a contorno di poche canzoni decenti) è di certo un vantaggio di non poco conto per noi consumatori.

La cosa però ha provocato un danno incalcolabile ai profitti delle case discografiche, inermi di fronte a questo cambiamento. Paradossalmente i loro profitti sono crollati ai minimi storici, nonostante il numero delle vendite siano ai massimi storici. Questo a causa anche del prezzo di vendita dei singoli (99 cent.) su iTunes, irrisorio rispetto al costo dei singoli nel passato.

Da questo punto di vista si può parlare di una vera e propria rivoluzione che, come un tornado, spazza via gli schemi precedenti, lasciandosi alle spalle non poche vittime.

Un nuovo artista, che si affaccia nel 2019 in questo mare popolato da squali quale è il mercato discografico, non può che cavalcare la cresta dell’onda e seguire questa innegabile tendenza. Al giorno d’oggi, parlando di strategia di Marketing, pianificare l’uscita di un singolo (o più di uno) per cercare di raggiungere un vasto pubblico specie tramite i social network può senz’altro funzionare al pari (se non di più) di un album intero.

Di contro, ci sono altri aspetti da valutare. La società in cui viviamo e il progresso tecnologico dettato principalmente dall’avvento degli smartphone e dei social network sono come benzina che alimenta la nostra pigrizia e superficialità. 

Questa superficialità non fa altro che riversarsi pericolosamente sulla qualità della musica che perde sempre più significato e valore, finendo per diventare un mero mezzo per il ‘successo’. Un brano diventa così merce indistinta, esposto (quasi gratuitamente) in modalità shuffle su Spotify, senza più badare ai contenuti, ormai secondari rispetto all’obiettivo, a tratti ossessivo, del conteggio di like/views/listeners.

In questo senso, l’album riveste un ruolo importante. Tramite un LP si può ancora raccontare una storia; si può cercare ancora di trasmettere sentimenti e pensieri più complessi; si può tornare a far viaggiare l’ascoltatore tra la propria arte, fatta di mille sfaccettature; si può provare che la musica è ancora un’arte, e non solo un business.

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